cosa ho imparato da questo Cmooc

Il percorso si sta accingendo alla conclusione, anche se Andreas ci ha assicurato che in qualche modo, in qualche forma, il viaggio continuerà. Si impone un bilancio su come sono cambiata, o posso cambiare, come insegnante. Ovvero: tutto ciò che avrei voluto scrivere in questo diario e che non ho fatto. Ecco le cose che ho imparato, in ordine sparso:

  1. che un apprendimento ha senso solo nell’ambito di una comunità, che non esiste una conoscenza che possa essere proprietà privata e nascosta agli altri. La conoscenza è partecipazione. Questo è stato chiaro fin dall’inizio, vedendo il numero di partecipanti e i commenti che seguivano ad ogni post. Tutti sono preziosi, ognuno dà il suo contributo, si crea una rete, ma in modo spontaneo, non guidato.
  2. che la tecnologia è uno strumento, non un fine. La si può utilizzare per facilitare, migliorare, sperimentare nuove forme di comunicazione e apprendimento/insegnamento, ma non è fine a se stessa.
  3. che la demarcazione non è tra “cartaceo” e “digitale”, ma tra “conoscenza chiusa” e “conoscenza aperta”: per quest’ultima, è più opportuna la forma del digitale.
  4. che è importante anche, per noi come per gli alunni a scuola, avere uno spazio proprio in cui sentirci liberi di esprimerci, ma anche di condividere informazioni, idee, proposte, dubbi. Per questo abbiamo creato i nostri blog: uno spazio individuale ma comune. Ed è importante, poi, anche mettere insieme. Per questo c’è stato anche piratepad, una lavagna comune, condivisa.
  5. che l’assenza di paletti fissi, per quanto all’inizio possa generare spaesamento, alla lunga stimolano la creatività e la fantasia, permettendo ad ognuno di spaziare come meglio crede.
  6. che gli ultimi della classe non sono lasciati indietro: il percorso è soprattutto per loro.
  7. che la tranquillità di apprendere genera solo cose positive, e a nulla servono le ansie per non restare indietro o per l’interrogazione.
  8.  che mettere ordine non è qualcosa di arido, ma può essere uno strumento per far volare le idee. Questo l’ho appreso dalla rete di tag che abbiamo creato in piratepad. Ma anche dall’aggregatore di feed e dall’esistenza dei files OPML.
  9. che al di là di tutto, ciò che conta è l’aspetto umano della formazione: a quello tende un buon insegnante; quello cercano gli alunni. Questo l’ho appreso dai racconti di vita di Andreas e dal fatto che anche nei post più tecnici, mai è mancata l’esperienza umana.
  10. che occorre lasciare che ognuno faccia il suo percorso come meglio crede, senza indirizzarlo troppo, senza condizionarlo. E senza sentirci, noi insegnanti, così onnipotenti come qualche volta ci sentiamo. Le cose  sono anche, per fortuna, indipendenti da noi: noi siamo solo l’input, lo stimolo, una mezza specie di guida un po’ traballante, ma ogni alunno segue la sua strada e arriva in luoghi impensati, mai ancora esplorati, inesistenti finchè a qualcuno non viene data la libertà di crearli.

Parlami di….

Vorrei dire ancora qualcosa sulla valutazione, con relative verifiche. Le domande all’interrogazione. Mi ha fatto pensare a questo tema un post di Andreas in cui si parla della “consapevolezza dell’esistenza di un territorio abitabile molto più vasto di quello comunemente conosciuto”, ad esempio da un semplice Blocco note si può partire per fare tantissime cose sul web perchè, nella sua semplicità, lascia ampio margine alla creatività personale. Mi è venuto in mente quando, nelle verifiche orali, mi capita (non spesso, ma comunque capita) di fare domande molto generali, del tipo: parlami di Socrate, parlami della Rivoluzione francese, parlami di Kant….. Un tempo pensavo che fare questo tipo di domande non avesse alcun senso. Oggi mi sto un po’ ricredendo. Un tempo pensavo che fare domande giuste significasse cercare di far pensare l’alunno, metterlo in condizione di fare collegamenti, ragionamenti, deduzioni. Chiedere tanti “perchè”. Ed è giusto. Ma credo che ci voglia anche dell’altro, tipo le domande generalissime. Bisogna anche lasciare spazio all’alunno di gestirsela come vuole, di ingegnarsi a trovare le parole, il tempo, la scansione, i concetti che vuole, e non è detto che sia più facile. Anzi, è un classico che quando si fanno questo genere di domande, spesso ci si ritrova con un ragazzo che, pur avendo studiato tantissimo, fa scena muta. Perchè troppa libertà dà fastidio, blocca invece di aiutare, quando non si sa da che parte cominciare, semplicemente non si comincia. E dunque, ben vengano le domande generalissime, che stimolano all’organizzazione del discorso e alla capacità di sintesi. Per dirla con Italo Calvino: “scusa se ti ho scritto una lettera troppo lunga, ma non ho avuto il tempo di scrivertela breve”.