Parlami di….

Vorrei dire ancora qualcosa sulla valutazione, con relative verifiche. Le domande all’interrogazione. Mi ha fatto pensare a questo tema un post di Andreas in cui si parla della “consapevolezza dell’esistenza di un territorio abitabile molto più vasto di quello comunemente conosciuto”, ad esempio da un semplice Blocco note si può partire per fare tantissime cose sul web perchè, nella sua semplicità, lascia ampio margine alla creatività personale. Mi è venuto in mente quando, nelle verifiche orali, mi capita (non spesso, ma comunque capita) di fare domande molto generali, del tipo: parlami di Socrate, parlami della Rivoluzione francese, parlami di Kant….. Un tempo pensavo che fare questo tipo di domande non avesse alcun senso. Oggi mi sto un po’ ricredendo. Un tempo pensavo che fare domande giuste significasse cercare di far pensare l’alunno, metterlo in condizione di fare collegamenti, ragionamenti, deduzioni. Chiedere tanti “perchè”. Ed è giusto. Ma credo che ci voglia anche dell’altro, tipo le domande generalissime. Bisogna anche lasciare spazio all’alunno di gestirsela come vuole, di ingegnarsi a trovare le parole, il tempo, la scansione, i concetti che vuole, e non è detto che sia più facile. Anzi, è un classico che quando si fanno questo genere di domande, spesso ci si ritrova con un ragazzo che, pur avendo studiato tantissimo, fa scena muta. Perchè troppa libertà dà fastidio, blocca invece di aiutare, quando non si sa da che parte cominciare, semplicemente non si comincia. E dunque, ben vengano le domande generalissime, che stimolano all’organizzazione del discorso e alla capacità di sintesi. Per dirla con Italo Calvino: “scusa se ti ho scritto una lettera troppo lunga, ma non ho avuto il tempo di scrivertela breve”.

5 thoughts on “Parlami di….

  1. luciab ha detto:

    So che sto dicendo un’ovvietà, ma domande diverse aiutano studenti con intelligenze diverse. La domanda creativa o troppo generale spaventa a morte l’alunno di tipo “esecutivo”; quella troppo specifica disturba chi “vola alto” e non si è fermato sui particolari. L’alunno troppo sintetico irrita il docente analitico e viceversa…
    E’ un problema difficile da risolvere. E ancora: le competenze del primo anno del triennio non sono quelle del secondo o dell’anno finale.
    Io insegno inglese alle superiori ed ho ottime colleghe che insegnano la mia stessa disciplina. Benché i nostri allievi abbiano risultati equivalenti (lo sappiamo perché ogni tanto ci scambiamo i test), siamo incredibilmente diverse. Così può succedere che qualche allievo che non si trova bene con il mio metodo si senta magnificamente con una delle mie colleghe.
    Ho imparato moltissimo da un signore che si chiama Luciano Mariani e ha scritto libri su come si insegna e come si impara. La lettura che indico qui è un po’ lunga ma spiega molto meglio di me cosa intendo.
    Una delle soluzioni possibili sta nel variare le attività che si svolgono in classe, esplicitando ogni volta quale sia il nostro scopo didattico per condividere gli obiettivi con gli studenti e farli sentire partecipi di un cammino.

  2. fedesargo ha detto:

    sicuramente la varietà è elemento indispensabile per un buon insegnamento/apprendimento. Ognuno ha il suo metodo, ognuno cerca le sue strade come meglio crede, e in fondo noi siamo qui, socraticamente, solo per aiutarli a “partorire” ciò che hanno dentro…. Appena mio figlio mi lascia in pace un attimo vado a leggere la lettura che mi consigli! grazie!

  3. Andreas ha detto:

    Io ero molto propenso a lasciare molta libertà negli esami, appunto “parlami di…” o che ne “pensi di…”

    Finché non mi è capitato di essere sbalzato nella didattica di massa: da 20-30 studenti a 200-300. Addio domande libere. È li che ho iniziato a sperimentare tutto il possibile, pur di evitare quel carnaio disumano.

    • fedesargo ha detto:

      Ecco anch’io, pur se non ho a che fare con 200 studenti, cerco di sperimentare varie forme. Tutto sta vedere cosa si intende con “tutto il possibile”…..!!

  4. Andreas ha detto:

    Nel contesto in cui mi sono trovato io, questo ha significato essere disposto a stravolgere completamente il paradigma di insegnamento, in maniera da aggirare un problema che si era fatto irrisolvibile. È un po’ come dover saltare un grosso ostacolo: provi nel modo usuale ma ti ritrovi strapazzato e graffiato, torni indietro, provando a cambiare qualcos nel solito metodo, tipo allunghi la rincorsa, ma ti fai male lo stesso; non ti va, rimugini, ti allontani abbastanza dall’ostacolo finché, da quella distanza, ti accorgi che c’è un’altra strada che aggira l’ostacolo, ecco, la imbocchi…

    Ma dipende dal contesto. Che per me era corsetto universitario al primo anno. È diverso dalla vostra situazione. Magari ci sono altre strade per voi, ma non lo so.

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